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La Storia

Del Caffè Poliziano

Duccio Pasqui
Direttore Biblioteca Comunale di Montepulciano

La Bottega del caffè, tenuta da un greco, in cui:

“primieramente si beve un caffè che merita veramente il nome di caffè: caffè vero, verissimo di Levante …che chiunque lo prova, quand’anche fosse l’uomo…. Il più plumbeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli e almeno per mezz’ora diventi uomo ragionevole…; in essa bottega chi vuol leggere trova sempre i fogli, le “Novelle Politiche”…l’’’Estratto della Letteratura Europea”…; in essa bottega, per fine, si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio…”

Così Pietro Verri milanese, nel giugno 1764, descriveva nel primo numero della celebre rivista letteraria “Il Caffè” l’atmosfera tipica di queste botteghe che da ormai quasi un secolo erano in inarrestabile sviluppo nelle città e cittadine della penisola. Le parole del letterato sono più attuali che mai: riescono infatti a ricreare anche con l’olfatto e l’udito quei momenti di piacevole, leggero e cordiale incontro tipici dei veri “caffè”, cosa ben diversa dai frettolosi “bar”: un incontro talvolta superficiale, ma che si apre all’improvviso in squarci di profondità umana e culturale che fanno uscire dal caffè leggermente diversi e più vivi di quando ci siamo entrati.

MA QUALE È LA STORIA DEL “CAFFÈ”, UNA REALTÀ CITTADINA CHE OGGI STA VIVENDO UNA NUOVA GIOVINEZZA?

Non è stata ancora studiata approfonditamente: ne parleremo qui per brevi colpi di pennello.
Luoghi dove incontrarsi insieme intorno a una bevanda calda per scambiarsi quattro chiacchiere o approfondite discussioni probabilmente esistono fin dall’età delle caverne: gli antenati più diretti dei “nostri” caffè vanno visti però nei locali di ambiente islamico, che fin dal quattrocento (alla Mecca per primi, sembra) si vedo spuntare un po’ ovunque nella città: vi si riunivano uomini (e anche donne, pare!) per sorseggiare la bibita (rigorosamente senza zucchero), ma anche per giocare, parlare, ascoltare musica. “Generalmente in questi kahvehane vi sono vari violinisti o flautisti, e musicanti che sono salariati dal padrone della caffetteria per far musica e cantare buona parte della giornata e servire attrazione.” (1)
I commerci portano il caffè e il suo mondo in Europa: dal 1640 a Venezia, a Marsiglia dal 1654, intorno al 1669 a Parigi, a Londra dal 1662, a Francoforte nel 1689, e così via. Uno dei più celebri caffè di Parigi fu messo in piedi da un italiano, il siciliano Procopio, che dopo il 1686 allestì in Rue des fossèe-Saint-Germain, di fronte alla Comèdie Française, un locale in due ambienti, arredato con specchi, tavoli in marmo, e lampadari in cristallo. Il Cafè Procope è giunto fino al ‘900, seppur trasformato in ristorante. (2)
Ma veniamo alla Toscana. Alla fine del Seicento c’erano a Firenze delle botteghe dove si bevevano le cosiddette “acque conce” cioè acque profumate di cedro, limone, gelsomino, cannella, addolcite senza zucchero, e dal 1668 anche la “cioccolata” calda e fredda (3).
Queste botteghe, luoghi senz’altro di divertimento e incontri oltre che di degustazione di golosità liquide, possono essere considerate le antenate dei grandi Caffè fiorentini dell’Ottocento, alcuni dei quali ancora vivono: tra cui il Caffè Doney, (1822, o ’27 secondo altri) locale elegantissimo in pieno centro.

Una ricerca (4) effettuata sulla “Gazzetta Toscana” ne dà ben undici tra il 1778 e il 1795. I locali erano anche luoghi di presentazione di novità: proprio nel 1778 al “Caffè Veneziano” in via del Cocomero si può vedere un’eccezionale “ottica newtoniana”.
Durante l’epoca napoleonica il vento di libertà si fa sentire anche nei caffè: nel 1806 il Caffè all’insegna della fortuna apre alcune sale da gioco, in cui “potranno introdurvisi tutte quelle persone decentemente vestite, e particolarmente gl’Individui della Nazione Ebrea” (4). All’epoca degli ultimi Lorena il Caffè Guarnacci, in Via del Proconsolo, faceva gente soprattutto d’estate, per le sue famose orzate, e vi si ritrovava tutta la nobiltà (5).
Coerentemente con la loro vocazione intellettuale, durante il Risorgimento i caffe fiorentini (e non) divengono luoghi di discussione politica e di cospirazione: celebre il caffè Michelangiolo in via Larga (oggi via Cavour), ritrovo di artisti tra il 1848 e il ’66, e dove i Macchiaioli ebbero il loro centro. Talmente importante era la funzione culturale dei caffè come luoghi di ritrovo degli intellettuali e del piccolo mondo “di bohème” che gravitava loro intorno che Ardengo Soffici dettò apposta un’iscrizione, in onore proprio del Caffè Michelangiolo (4).
Per non parlare del caffè delle Giubbe Rosse in Piazza oggi della Repubblica, celebre per le frequentazioni dei Vociani (gli intellettuali legati alla rivista “La Voce”) e Futuristi. Tanto famoso era questo caffè che ancora negli anni ’50 e ’60 ci si andava a preferenza di altri, e tornando a casa (specialmente se non si era di Firenze) si raccontava con un pizzico di vanità”… e poi siamo stati a prendere il caffè alla Giubbe Rosse”.
A Venezia vuole la tradizione che in Piazza San Marco al Caffè Florian, centro dell’irredentismo, si contrapponesse dall’altra parte il Caffè Quadri, luogo d’incontro degli ufficiali austriaci e dei loro simpatizzanti: i due locali peraltro, ancora vivi e più che vegeti, si assomigliano moltissimo nelle decorazioni e negli arredi.
Come che sia, i caffè si diffondono in tutte le città, e con il progredire della vita borghese si fanno sempre più eleganti e raffinati: anche nelle cittadine “minori” prendono piede (citiamo per tutti il bel Caffè dei Costanti ad Arezzo, ancor oggi luogo di ritrovo della gioventù “chic”) e Montepulciano naturalmente non è da meno.
Se ci siamo dilungati tanto sui caffè di altre città e di Firenze in particolare è perché la scarsità di documentazione finora reperita sul “caffè” a Montepulciano non ci consentiva di parlarne con cognizione di causa. D’altra parte è ovvio che quel che accadeva nella Capitale si riverberava, certo in ritardo e con forme più semplici, anche nelle altre città del Granducato. L’abitudine di sorseggiare in compagnia la bevanda ( e non solo quella, ovviamente) era ben nota da tempo ai poliziani.
Già nell’epoca della costruzione del primo Teatro Accademico nel Palazzo Comunale (1759) era previsto uno spazio per il Caffè e le “diacciatine”, cioè sorbetti, bevande fresche ecc., che venivano serviti in occasioni delle rappresentazioni teatrali (6).
Era un servizio ambito, e molti locali ambivano averlo in gestione e ne facevano richiesta all’Accademia degli Intrigati, costruttrice e allora proprietaria del Teatro. Il Teatro fu poi riedificato dov’è attualmente e subì una ricostruzione radicale nel 1881-82; la saletta del Caffè sembrava essere stata dove ora si trova il guardaroba (7). Allora le rappresentazioni venivano replicate almeno per una settimana, e inoltre il Teatro era utilizzato per balli, feste, celebrazioni di ogni sorta: in mancanza di altri documenti, possiamo pensare che forse il primo Caffè a Montepulciano degno di questo nome sia stato propri quello dell’Accademia. Del resto anche a Firenze molto spesso i Caffè venivano aperti in prossimità di teatri, per offrire ristoro e attirare clientela. Non dobbiamo fare un grande sforzo di fantasia per immaginarci la “jeunesse dorèe” (e non solo la gioventù) di Montepulciano che si beava degli incontri al Caffè del Teatro, nella consueta girandola di saluti, battute, occhiatine d’intesa e non, che sempre caratterizza queste situazioni. Certo l’atmosfera doveva essere più mondana che intellettuale: sempre di un luogo d’incontro si trattava, e anche di mescolanza sociale, visto che il Teatro era comunque aperto a chiunque poteva permettersi il biglietto. Per trovare però un Caffè vero e proprio dobbiamo arrivare al 1867, e precisamente alla Seduta della Giunta Municipale dell’11 Luglio e a quella successiva dell’ 8 aprile 1868, in cui viene concesso ad Angelo Mealli e a Sabina Ercolani di aprire una rivendita di vino in via degli Operai e una “Bottega di Caffè in via del Poliziano n.2 sotto l’insegna Caffè del Poliziano”. La notizia è importante proprio perché è la prima attestazione di un Caffè vero e proprio, e inoltre testimonia la vitalità di una zona al momento presente invece è piuttosto decentrata rispetto alla maggior parte delle attività e dei ritrovi. Non abbiamo idea di come fosse quell’antica “Bottega del Caffè”, ma dato il tono della Montepulciano di allora certamente sarà stata non grande, viste le dimensioni medie dei locali di quella via, ma certo elegante, con un pizzico di ricercatezza.

Per un ulteriore documentazione bisogna saltare al 1894: è grazie ad una guida di Montepulciano (8) che abbiamo notizia del primo vero e proprio “Caffè Poliziano”:
“….la farmacia (Franceschi tuttora fiorente) è elegantemente montata e corredata di Drogheria e Profumeria. Davanti a questa casa è situato il Caffè Poliziano condotto da Benvenuto Naddi. Vi è sala da Biliardo e vi si trova tutto quanto può occorrere per servizi speciali in occasione di matrimoni, feste, battesimi etc.”
Non erano poca importanza i Caffè a Montepulciano all’epoca, se lo stesso Fumi più avanti (P.68) dice che
“La sera molti si riuniscono nelle farmacie e nei caffè, conversando e giocando a carte”; del resto a pag 123 ne elenca ben sette, non pochi per una cittadina relativamente piccola. I caffettieri poliziani erano gli unici che potevano concorrere all’asta per il servizio al Teatro (9). Peraltro è l’unico di cui il Fumi parla esplicitamente, e la descrizione che ne fa lascia immaginare una ricchezza di arredi, vasellami e servizi degna di nota. Un piccolo giallo: siccome la Farmacia Franceschi si trova dallo stesso lato dove si trova il Caffè poliziano attuale, è presumibile che questo si sia spostato dopo il 1894, e prima forse si trovasse dove è attualmente un negozio di alimentari. Nel 1896 il Naddi è ancora gestore del Caffè, e si vede rifiutato il permesso di esporre due cartelli perché difformi con quello esistente, che portava la dizione “Caffè Poliziano” (10).
Evidentemente il locale aveva già un decoro tale richiedere la massima attenzione del potere del pubblico. Ed è certamente lo stesso Naddi, che nel periodo della Grande Guerra era ancora proprietario del Caffè, che ne promuove il presumibile trasferimento e la prestigiosa ristrutturazione che possiamo ammirare ancora oggi. Realizzato in una versione sobria ma aggiornata del Liberty, o floreale come si diceva in Italia, presenta negli stucchi e nelle forme degli infissi come anche nelle sottili incisioni dell’insegna un gusto sicuro e modellato sui più illustri esempi dello stile: notevole è il riecheggiamento di due esempi belgi, il disegno delle finestre della casa del pittore Chamberlani a Bruxelles realizzato nel 1897 da Paul Hankar per i fregi a stucco dei soffitti, e la Maison Niguet a Bruxelles del 1899, sempre Hankar, per gli infissi (11).
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Il Caffè compare spesso anche se in modo scarno nelle cronache come sede di incontri, ritrovi, piccoli eventi. Va notato che ha una dimensione veramente notevole, apprezzabile anche per una città di dimensioni ben maggiori di Montepulciano: evidentemente la frequentazione giustificava l’ampiezza. All’epoca a Montepulciano c’erano almeno una trentina di famiglie tra nobili e molto benestanti i cui palazzi erano delle vere e proprie macchine economiche che davano lavoro a gran parte della città per la loro manutenzione, senza contare i notabili di rango minore: c’era dunque spazio più che sufficiente per un locale così raffinato, che si affacciava ai Circoli riservati alle varie categorie senza rubarsi a vicenda clienti e avventori. Alcune memorie raccolte dagli attuali proprietari fanno intravedere uno scenario di eleganze, visto dal di fuori come una specie di spettacolo, riservato a pochi ma gradito a tutti. La stessa dimensione del locale comunque consente in un periodo successivo di aprire un cinematografo: il nome sarà naturalmente “Cinema Poliziano”, e rimarrà in funzione almeno fino agli anni’60, secondo i ricordi di molti. Come per molti altro locali storici l’assalto della modernità è pericolosissimo: il cinema chiude, il locale sottostante da sala dei ricevimenti diventa un magazzino, parte del Caffè viene trasformato in negozio, e il Caffè stesso si restringe a circa un quarto della sua dimensione originaria, “evolvendo” in bar, uno come tanti altri. Paradossalmente però il suo abbandono lo salva: spariscono gli arredi, ma gli infissi e gli stucchi vengono mantenuti, forse perché non si ritiene conveniente il loro “ammodernamento”, come anche l’elegante insegna esterna. Uno dei commenti più frequenti prima del restauro che ci ha restituito il Caffè alla sua bellezza, se non del tutto originale certo molto ben ricreata, era “… ma che peccato, un posto così bello, dove si starebbe tanto bene a chiacchierare…”: cosa che ora finalmente possiamo fare!

Note
1. Robert Mantran, La vita quotidiana a Costantinopoli ai tempi di Solimano il Magnifico, Milano Biblioteca Universale Rizzoli, 1985, p.333
2. Jacques Wilhelm, la vita quotidiana a Parigi ai tempi del Re Sole, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 1984, p. 176
3. Guiseppe Conti, Firenze dai Medici ai Lorena, Firenze Bemporad, 1909, pp.379-380
4. Alessandro Molinari Pradelli, Osterie e locande di Firenze, Roma Newton Compton, 1998, pp.290-314
5. Giuseppe Conti, Firenze vecchia, Firenze, Bomporad, 1899 p. 463
6. Teatri, Luoghi di spettacolo e Accademia e Montepulciano, e in Valdichiana editori del Grifo, 1894, p. 143 n. 16
7. Teatri …p.156, disegno di ricostruzione del complesso teatrale
8. Ersilio Fumi, Guida di Montepulciano e dei Bagni di Chianciano, Montepulciano, Fumi e Caleri-Lessi, 1894, p.33
9. Teatri …p.116, Norme per i Veglioni 1885, art. 3°
10. Commissione Edilizia del Comune di Montepulciano, seduta del 5 Marzo del 1896
11. Lara Vinca Masini, Art Nouveau, Martello-Giunti, 1976 pp.114-115